Curiosità, abitudini e mode sull’igiene personale e dintorni: dall’Antichità al Medioevo

Ottobre 2021                      SPIGOLATURE                       a cura di Livio Carati

La prima parte é stata pubblicata nel mese di giugno.

Dopo una   lunga pausa , con questo numero di Ottobre  della  nostra rubrica , riprendiamo il tema  che  abbiamo introdotto lo scorso mese di giugno.  E’ noto da secoli che i rifiuti organici costituiscono , un fattore   che  oltre a  peggiorare  le  condizioni di igiene  ambientale  e  di disturbo olfattivo,  é una  della  possibili cause  di  origine  e diffusione  di malattia. Per questa ragione , già nell’antichità i tentativi per risolvere il problema     furono numerosi. Quando l’uomo decise di costruire villaggi permanenti e di dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento, per la prima volta ci si scontrò col problema dello smaltimento delle deiezioni corporee.  Non è un caso che i villaggi sorgessero vicino a corsi d’acqua. In alcune località della Mesopotamia sono state ritrovate latrine e fogne in muratura collegate da tubi di terracotta, ma la prima civiltà mediterranea che poté vantare gabinetti con pulitura ad acqua fu quella cretese. Se nel sontuoso palazzo di Cnosso si poteva contare su un buon sistema di fognature, impianti sanitari e latrine domestiche, la maggior parte della popolazione doveva però accontentarsi del solito vecchio cespuglio o, nelle città, degli angoli più riparati degli edifici pubblici. Ma le abitudini dei pur civilizzati Greci erano in netto contrasto con quelle dei loro vicini egiziani. Ovviamente il comfort era direttamente proporzionale alla classe sociale. Nel palazzo del faraone, il lusso si sprecava. Cleopatra aveva a disposizione vasi d’oro ricoperti da soffice velluto e ampie vasche dove ammorbidire la pelle con bagni di caldo latte d’asina. Da un papiro della XVIII Dinastia, 1500 a.C. circa, sappiamo che, accanto ad altre prescrizioni di igiene e medicina, era raccomandato l’uso del clistere. Per gli antichi Egizi questo aspetto della salute era così importante che avevano addirittura un medico denominato “il custode dell’ano”, addetto ai rimedi per via rettale come enteroclismi e lavaggi intestinali. Nel 460 a.C Ippocrate di Kos, ritenuto l’inventore della medicina empirica, nei suoi insegnamenti consigliava clisteri a base di decotti di foglie di cavolo, resi emollienti grazie all’aggiunta di miele e olio d’oliva. L’età romana è segnata dai fasti delle Terme, ma anche da scene di quotidiana inciviltà, come si desume dai graffiti pompeiani rivolti ai maleducati che usano le strade come gabinetto. Con l’impero romano arrivò in Europa anche il controllo e l’uso delle acque. Nessuna città poteva sopravvivere e prosperare senza il prezioso oro bianco e così i Romani si specializzarono nella costruzione di lunghi acquedotti che convogliavano le acque dei fiumi fino nei centri abitati. Ma solo i più abbienti potevano godere di un gabinetto dotato di acqua corrente e tubature con scarico diretto in fognatura, anche perché, per essere allacciati alla rete fognaria cittadina, bisognava pagare una tassa.  I pozzi neri andavano quindi svuotati e puliti regolarmente, ma non era raro che il problema, più che risolto, venisse “scaricato” direttamente in strada.  La grande moltitudine della popolazione doveva quindi recarsi alle latrine pubbliche, grandi stanze rettangolari o semi-circolari, in cui i clienti si accomodavano uno accanto all’altro e, tra una chiacchiera e l’altra, espletavano le loro necessità (vedi Fig. 1). Fin dai tempi più antichi, fin dagli esemplari più arcaici di WC, era abitudine dilungarsi in piacevoli conversazioni, concludere affari o ricevere ospiti mentre si era impegnati nell’assolvere ai propri bisogni corporali. I sedili di marmo forse non erano il massimo della comodità, ma il fatto che il foro fosse collegato direttamente alla fogna cittadina, eliminando così il problema dello smaltimento, era impagabile. Chi voleva, poi, poteva anche lavarsi: nella sala era a disposizione un’unica grossa spugna conficcata su un’asta, che dopo l’utilizzo veniva immersa in un secchio pieno di acqua e sale, con ovvie conseguenze igieniche.  Tutte queste operazioni si svolgevano sotto la supervisione della dea Cloachina, protettrice delle latrine e delle cloache, e del dio Stercus, tutore della concimazione.  Per rimpinguare le casse dello Stato, prosciugate dalle continue guerre, l’imperatore Vespasiano (69-79 d.C.) impose una tassa sull’urina raccolta dai privati e istituì una multa per chiunque urinasse fuori dagli appositi spazi, al grido di: “Pecunia non olet”  cioè  “il denaro non puzza”,  tramandato  fino ai nostri giorni,  anche  con diverso significato. Con la decadenza dell’impero romano, la manutenzione degli acquedotti venne meno e le città si trovarono a dover fare i conti con minore disponibilità di acqua e più malattie. Cristianesimo e sudiciume marciarono dunque a braccetto, sotto l’egida di una esasperata interpretazione del concetto di pulizia solo spirituale: l’uomo battezzato non aveva bisogno di nessun altro rito purificatore e Sant’Agnese morì a tredici anni senza mai essersi lavata. Nel Medioevo, epoca del sudiciume e della santificazione della stipsi, la saggezza medica sopravvive attraverso le norme della Scuola Salernitana :   Defecatio mattutina est bona quam medicina, defecatio meridiana, neque bona, neque sana, defecatio vespertina est corporis ruina! (Andare di corpo la mattina è come prendere una medicina; andarci nel pomeriggio non è né buono né salutare; la sera poi procura danno al corpo!). La terna diavolo-inferno-escrementi si fa strada nell’immaginario collettivo, che non disdegna l’idea di immaginare peccatori e diavoli immersi, per dirla con Dante, proprio “nella merda”. Non liberare l’intestino era considerato un segno di santità e le anime pie si sforzavano di dimostrare la loro purezza cercando di non farlo mai, fino al limite dell’umana sopportazione. Si tramanda che Santa Caterina da Siena sia morta proprio per un’occlusione intestinale. In tutto questo, resta una domanda di fondo: dove espletavano i loro bisogni gli uomini medievali, e soprattutto, come li smaltivano? La risposta è tanto semplice quanto ripugnante: in assenza di sistemi fognari o di pozzi neri, ogni casa era fornita di un vaso da notte che tutte le mattine veniva svuotato in strada aprendo porte e finestre (vedi Fig. 2). Per tenere puliti e svuotare pozzi neri venne creato un corpo speciale detto la “corte degli spazzini”. Per anni tale situazione portò ad un aumento delle malattie infettive, specialmente nelle città grandi e popolate. Le cose per i nobili andavano comunque decisamente meglio. Nei loro castelli vi erano bagni privati che venivano comunemente chiamati garde-robe con un sedile di pietra o di legno, spesso sospesi in aria in una torretta con lo scarico nel vuoto. I luoghi più igienici in assoluto rimasero però i conventi, unici a mantenere le latrine comuni secondo il modello romano e non rinunciarono mai all’acqua corrente. In questo modo, mentre l’Europa non si lavò per un migliaio di anni, i conventi rimasero i tutori, oltre che della cultura, anche dell’igiene.  I secoli bui del Medioevo furono ostaggio di superstizioni e tabù religiosi che trasformarono semplici gesti di igiene personale in azioni peccaminose, spalancando così le porte ad epidemie di peste, tifo e colera. Bisognerà attendere ancora quasi cinque secoli prima di raggiungere l’agognata invenzione del WC. Ma questa è un’altra storia, che continua nel prossimo  articolo.

 

fig. 1                              fig. 2