Parliamo di…Rifugiati e Migranti

Febbraio 2022          SPIGOLATURE          A cura di Livio Carati

 

          

Le diverse posizioni che le varie forze politiche e l’opinione pubblica hanno manifestato nei confronti dei recenti flussi migratori nel nostro paese sono l’espressione di vari sentimenti che vanno dalla generosità e spirito di accoglienza cristiano, alla paura del diverso, all’egoismo, fino a rigurgiti di un odioso sentimento di razzismo. Questa situazione fornisce lo spunto per alcune riflessioni. C’è chi ritiene che scoraggiare i nuovi arrivi e, possibilmente, rispedire nei propri paesi chi è già qui sia la soluzione per difendere il proprio piccolo spazio vitale. Tralasciando gli aspetti morali e umanitari, e pur nella consapevolezza che il nostro paese non è in grado di sostenere a lungo un così grande impegno di risorse umane ed economiche, occorre essere realisti e prendere atto che gli arrivi di questi ultimi anni non sono altro che l’avanguardia di un esodo epocale che rischierà nei prossimi decenni di travolgerci se ci faremo cogliere impreparati. Le ragioni di quella che è diventata una crisi umanitaria che ormai da diversi anni ha reso drammatico anche il conto dei morti nel Mar Mediterraneo, sono molte; solo conoscendole e prendendone atto potrà essere possibile gestire il fenomeno. Le guerre contemporanee combattute nei campi di battaglia di Afghanistan, Siria , Sud Sudan e Corno d’Africa, così come tutte le più gravi crisi internazionali, hanno prodotto milioni di profughi e rifugiati.  Di conseguenza la pressione migratoria è rapidamente aumentata anche ai confini dell’Unione Europea. La crisi umanitaria, iniziata nel 2011, dopo lo scoppio della Primavera Araba, ha portato in Italia quasi 30 mila tunisini. La stabilizzazione successiva ridusse il numero degli arrivi fino a esplodere nuovamente nella sua drammaticità nel 2014, anno in cui sono arrivati in Italia più di 220 mila profughi dal Mar Mediterraneo. Inizialmente i più numerosi erano i migranti, provenienti dalla Libia, e più recentemente anche dalla Tunisia, che preferiscono la via del Mediterraneo Centrale con destinazione le coste peninsulari italiane, particolarmente la Sicilia. Attualmente a causa delle avverse condizioni climatiche, che scoraggiano il viaggio via mare, e delle politiche di contrasto messe in atto nei paesi di provenienza o di transito, le vie dei flussi migratori sono cambiate. In particolare, i migranti provenienti dalla Siria e dall’Afghanistan, che inizialmente percorrevano di preferenza la via di terra che, passando attraverso la Turchia e risalendo poi la penisola balcanica, consentiva dopo un lungo viaggio di raggiungere i paesi dell’Europa Centrale e del Nord ora, a causa della costruzione di numerose barriere ai confini con la Grecia, attraversano il Mediterraneo Orientale dalla Turchia fino alla Puglia e alla Calabria.  Al di là dei paesi di provenienza, questa massa di uomini e donne, eterogenea, per cultura, religione e condizione socio-economica, comprende principalmente due categorie di persone: i profughi di guerra e i cosiddetti migranti economici. I profughi prodotti dalle guerre contemporanee combattute nei campi di battaglia, come da tutte le più gravi crisi internazionali, sono quelli che non possono o non vogliono, per il timore di essere perseguitati, avvalersi della protezione del proprio Paese e fanno richiesta d’asilo altrove in quanto tutelati da varie forme di protezione internazionale (Agenzia ONU per i Rifugiati), tra cui riconoscimento dello status di rifugiato. Sia per la speranza di tornare presto a casa, sia per l’impossibilità di spingersi oltre, questi, nella maggior parte dei casi, cercano accoglienza negli Stati vicini. Per questa ragione, i primi Paesi al mondo per numero di rifugiati accolti non sono i Paesi più sviluppati, ma sono gli Stati al confine di Afghanistan e Siria, seguiti dai paesi limitrofi a Sudan e Sud Sudan. Secondo gli osservatori internazionali la fase critica dei flussi migratori diretti verso l’Unione Europea, legati alle guerre e alle crisi internazionali sopra menzionate, quando i fuochi di guerra si saranno spenti finirà con l’assestarsi su ritmi fisiologici e potrà lentamente essere assorbita e gestita senza traumi o squilibri interni per le nazioni ospitanti che, come la Germania, auspicano una integrazione di questi profughi nel tessuto socioeconomico nazionale. Diversa è la situazione che riguarda l’altra categoria di migranti, quelli cosiddetti economici, che lasciano i loro paesi per sopravvivere alla miseria e alla fame, a causa delle condizioni di estrema povertà e degrado ambientale dei paesi di provenienza. Molto diversa è la loro prospettiva per le seguenti principali ragioni: non hanno diritto allo status di Rifugiato e pertanto , in assenza delle condizioni necessarie per la richiesta di un permesso di soggiorno quali , ad esempio, un contratto di lavoro o la ricongiunzione con un familiare già residente nel paese richiesto, rischiano di essere espulsi e rinviati nei paesi di provenienza; la loro stessa precarietà e l’assenza di una qualificazione professionale, sono un elemento aggravante per una loro possibile integrazione nel tessuto lavorativo. Il flusso migratorio di questa ultima categoria che si sposta per problemi “economici”, è destinato nei prossimi anni a crescere in maniera esponenziale a causa di un fattore strettamente connesso alla povertà. I cambiamenti climatici, con l’incremento globale delle temperature, e il conseguente aumento della siccità, della desertificazione e quindi della mancanza di risorse agro-alimentari essenziali per sopravvivere, spingerà sempre più uomini e donne, provenienti dalle stesse aree geografiche prima menzionate, a cercare una via di salvezza verso i paesi più ricchi a nord del mondo. Il destino di questi nuovi flussi, definiti con un neologismo “migranti climatici “, in assenza di regole, è spesso quello di diventare clandestini e ridursi a vivere ai margini della società sfruttati o peggio preda della malavita locale.  Alla luce di questo scenario futuro è urgente che le nazioni industrializzate del nord del mondo elaborino e mettano in atto politiche di accoglienza e di integrazione a lungo termine, per gestire il fenomeno causato dall’ ormai inesorabile cambiamento provocato a livello globale dalla crisi climatica. Se non sarà così, la crisi ecologica, insieme con la distruzione della biodiversità, può mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana.